Valentina

Valentina ha 42 anni, un marito che la adora (ricambiato), due meravigliose bimbe gemelle di sei anni.
Oggi vive sul lago Maggiore, lavora come insegnante di lettere in una scuola media. Ama viaggiare, legge «tantissimo e di tutto, anche in inglese, per non perdere la conoscenza della lingua». A raccontarla così sembra un quadretto da Mulino bianco.
L’oggi è la rappresentazione del coraggio di Valentina e di chi le è stato accanto in anni di dura lotta con una malattia ostinata e invasiva.
Il nastro si riavvolge e torna al 2002. Quattordici anni fa. «Mi occupavo di marketing al Corriere della Sera…donna di belle speranze — dice Valentina, sorridendo —. Convivevo da poco con Stefano, mio marito. Stavo bene, apparentemente. Un giorno tornando dal mare, a fine luglio, è lui a dirmi che mi vede un po’ pallida.

Ma non ci faccio troppo caso, poteva essere stato un colpo di sole. Stefano però non si sente sereno. Tutte le sere mi saliva una febbriciattola, puntuale, alle 18.30, ero un po’ dimagrita. Però abbronzata sembravo l’immagine della salute». Una immagine che tornerà come un mantra.
Il pensiero di quella febbre diventa una costante, ogni giorno «era diventata una rincorsa, andavo in infermeria a misurarla, niente in pausa pranzo e poi la sera eccola lì», continua Valentina. Finché il medico curante non prescrive una batteria di esami.
«Ricordo bene il giorno in cui Stefano decise di accompagnarmi a farli. Era agosto, a Ispra sul lago Maggiore, dove oggi vivo ma allora venivamo solo per trascorrere qualche giorno di vacanza o nei fine settimana, pioveva. L’incubo è cominciato quando li ho ritirati. Il 6 agosto il medico li ha visti e ha detto: serve un ematologo, urgente».

Valentina si reca al Fatebenefratelli, comodo, poco distante dal suo ufficio.
«Altra scena indimenticabile. Giornata caldissima, al pronto soccorso – deserto – erano tutti annientati dal caldo. I medici sorridono per il bollino verde sulla ricetta. Sei l’immagine della salute, mi dicono, e invece poi mi trovo ricoverata, con qualcosa di poco chiaro ai polmoni, in una medicina pullulante di vecchietti».
È un ematologo che fa il turno di notte a prendere in mano la situazione. «Mi spiega che ho i linfonodi ingrossati, che potrebbe voler dire tante cose ma lui sospetta un linfoma. Per me era arabo, non avevo idea di cosa fosse. Ecografia, poi biopsia e poi Stefano che vuole portarmi in America, finché decidono di spostarmi a Niguarda». Spaesata, Valentina rifiuta di sentirsi malata. «Meglio ancora, non volevo sentirmi un numero, essere una tra i tanti e quella invece era la sensazione».

Oggi confessa che il rapporto con la struttura stessa è stato «un pochino conflittuale. Forse ero prevenuta ma avrei voluto che qualcuno mi chiedesse chi ero, cosa facevo, cosa provavo. Non mi potevo sfogare con Stefano, non volevo che si angosciasse. Non avevo neppure le complicazioni che normalmente uno si può aspettare. Sono riuscita a lungo a fare la mia vita normale tra una chemio e l’altra. In compenso ciò che non ho mai accettato, superato, è stata la perdita dei capelli e della linea, la trasformazione subita».
E questo è solo il primo incontro con la malattia, il linfoma di Hodgkin, «perché guarita, ho avuto anche l’altro, il non Hodgkin». Un caso non raro, di più: rarissimo. Tra le due malattie, Valentina è riuscita a farsi corse in bici da ottanta km, serate in discoteca, viaggi, persino a sposarsi, «nel 2004, un anno dopo l’auto trapianto, io con la parrucca acconciata da cerimonia. E al rientro dal viaggio di nozze via daccapo, si ripresenta un linfonodo nel fegato».
È la sua ostinazione, a non voler più fare chemio, a portare l’allora primario ematologo Enrica Morra a studiare un approccio terapeutico diverso: una radioterapia mirata sul bersaglio. Valentina si riprende la vita in mano, matrimonio, lavoro, hobby. E si arriva così alla fine del 2007. «Ormai per qualsiasi cosa mi aggrappavo alla dottoressa Morra. Così anche per un mal di gola che non passava».Perché non era un Mal di gola.
Ma l’avvisaglia di un nuovo aggressivo linfoma, e così alla vigilia di un viaggio nelle Filippine s’arriva a un compromesso: fai la biopsia (il 28 dicembre) e parti. «Torno il 7 gennaio e mi ritrovo ricoverata. Per una malattia che è una malattia nuova, non la ripresa della prima, con altri cicli di chemio e i capelli persi per l’ennesima volta e poi la radioterapia sperimentale».
Due anni dopo, nell’agosto 2009, per Valentina si apre un nuovo capitolo. «Scopro di essere incinta, poi perdo il bambino. Per la mia storia clinica sembrava impossibile che io potessi portare a termine una gravidanza. Invece di nuovo resto incinta». E mai che fosse tutto in discesa per lei. Macché, «mi viene una gestosi che rischia di portarmi alla tomba, finisco in rianimazione con la dottoressa Morra attaccata al telefono da Niguarda con l’ospedale di Gallarate».

Per le gemelline Camilla e Martina, Valentina ha scelto di lasciare il suo lavoro e diventare insegnante. «Non sono convinta che questa sia la dimensione definitiva, a Intra siamo venuti con l’idea di stare qualche mese e poi tornare a Milano. Per ora è così». Per ora.

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